Leggendo l’articolo “The People With Power at Apple” pubblicato da The Information, ho notato alcune imprecisi.
Non mi riferisco ai passi che hanno sollevato interesse e stupore in alcuni lettori, come il potere di Phil Schiller nel decidere le sorti di un prodotto, ma piuttosto sulla visione di insieme del management Apple.
A partire da Tim Cook i dirigenti Apple sono figli di una nuova filosofia aziendale, frutto di anni di lavoro sotto la costante pressione di Steve Jobs.
Una pressione che aveva come obiettivo la formazione di una classe dirigente diversa da quella di altre aziende, capace di interagire e lavorare come un’unica entità.
Questo articolo mi offre il pretesto per fare una veloce analisi storica (senza voler entrare in dettaglio), per cercare di dimostrare come l’attuale classe dirigente Apple, lavori in concerto per raggiungere gli obiettivi e come questo modo di operare la renda diversa da altre realtà… ancora oggi.
La storia di Apple può essere suddivisa in quattro ere, ognuna caratterizzata dalla visione del CEO di turno.
Fondata ufficialmente il 1 aprile 1976, grazie alle doti ingegneristiche di Wozniak, all’intraprendenza e lungimiranza di Jobs e all’ingresso del finanziatore Mike Markkula, Apple vive una rapida ascesa.
In questi anni Steve Jobs diventa il volto pubblico di Apple.
La sua influenza è tale da determinarne le specifiche hardware, il design e il marketing dell’Apple II (spesso in disaccordo con l’amico e co-fondatore Wozniak), contribuendo alla nascita del primo vero personal computer, il primo destinato ad un pubblico consumer.
Questa scelta decretò il successo del prodotto e diede inizio, a quello che potremmo definire la democratizzazione informatica, rendendo Apple leader di mercato.
Il ruolo di Jobs fu determinante anche nell’influenzare lo sviluppo della rivoluzionaria interfaccia grafica a finestre, oltre a due prodotti iconici della Apple anni ’80:
Furono entrambi un grande successo mediatico, soprattutto grazie a una delle campagne di marketing più iconiche del settore, ma nonostante le loro qualità e il marketing eccellente, nessuno dei due riuscì a conquistare il mercato, sopratutto a causa del costo eccessivo rispetto alla concorrenza.
Nel 1985 Steve Jobs, a causa di divergenze con l’allora CEO John Scully, abbandona Apple.
Durante questi anni si succederanno alla guida di Apple John Scully, Michael Spindler e Gil Amelio.
John Scully introdusse in Apple la stessa filosofia di business adottata per i prodotti di mass market, settore dal quale proveniva, creando un’eccessiva segmentazione del mercato, con conseguente incremento vertiginoso delle linee di prodotti (videro la luce moltissimi modelli Macintosh, spesso dalle medesime specifiche tecniche che differivano solo per il nome). La strategia si rivelò fallimentare e costosa sia dal punto di vista produttivo che da quello del marketing. Le nuove line di prodotti, inoltre, generarono confusione negli utenti, incapaci di districarsi tra i vari modelli.
Nel 1993 Michael Spindle (precedentemente direttore commerciale Europeo di Apple), venne chiamato a sostituire John Scully.
Nell’estate dello stesso anno venne presentato il Newton (fortemente voluto da John Scully), primo palmare Apple dalle caratteristiche rivoluzionarie per l’epoca (riconoscimento della grafia, riconoscimento vocale e connessione internet), ma nonostante le caratteristiche, si rivelò un flop commerciale, anche a causa della strategia di marketing adottata.
Michael Spindle ricevette l’incarico di vendere Apple (ormai sull’orlo del fallimento), ci provò con Sun, IBM e HP, ma senza riuscirci.
Un ulteriore errore strategico, fu quello di voler contrastare il successo del “matrimonio” tra IBM e Microsoft, rilasciando in licenza, nel 1994, il sistema operativo Apple a due produttori esterni, incaricati di realizzare computer Apple compatibili, con l’idea di incrementare la propria fetta di mercato.
L’effetto ottenuto fu tutt’altro che positivo e contribuì a cannibalizzare il suo stesso bacino di utenti.
Questi anni saranno ricordati come i più bui e i meno innovativi, portando Apple sull’orlo del fallimento.
Nel 1996 Gil Amelio sostituì Michael Spindler.
Gil Amelio (già membro del CdA Apple al momento della nomina di CEO) avrà l’arduo compito di rimettere ordine in Apple.
Già famoso nell’ambiente per aver ricoperto lo stesso incarico in National Semiconductor e per averla riportata in attivo, apportando tagli di varia natura, eredita una Apple senza liquidità.
Dà così inizio ad un periodo di ristrutturazione aziendale, che porterà all’acquisizione di NeXT, la neo azienda di Steve Jobs.
Inizialmente Amelio credette di riuscire a ottenere un duplice risultato da questa acquisizione, un nuovo sistema operativo (derivato dall’allora rivoluzionario sistema operativo della NeXT) e l’uomo immagine Apple per eccellenza Steve Jobs, il tutto sotto il suo pieno controllo. Inizialmente uno Steve Jobs più maturo e apparentemente distaccato, anche grazie al suo coinvolgimento in Pixar (ne era il proprietario), cercò di assecondare il disegno di Amelio.
Durante il MacWorld del 1996, Gil Amelio dimostrò la sua totale incompetenza nel settore, provocando l’ira di Steve Jobs che lo considerò da sempre un incompetente e mentre Amelio si preoccupa di usare l’immagine del suo fondatore durante gli eventi importanti per Apple, nell’ombra e a sua insaputa, Jobs dà inizio a una vera e propria ricostruzione.
Fatale per Gil Amelio fu l’assemblea degli azionisti dove vennero presentati i risultati fiscali dell’ultimo trimestre del 1996, con un crollo delle vendite pari al 30% rispetto al trimestre precedente.
Da quel momento Ed Woolard (allora presidente del consiglio di amministrazione Apple), venne regolarmente tenuto informato sull’andamento finanziario sempre più disastroso della Apple da Fred Anderson (allora direttore finanziario).
A luglio del 1997, a Gil Amelio venne chiesto di lasciare l’incarico di CEO dal consiglio di amministrazione.
Durante la riunione con i dirigenti, dove venne ufficializzato il passaggio di consegne tra Gil Amelio e Steve Jobs, sul palco Steve chiarì subito la sua strategia.
Esordì con:
“Ditemi cosa c’è che non va in Apple? Sono i prodotti!”
“..e cosa non va nei prodotti? Fanno schifo!”
Da quel momento prese il controllo di tutte le attività in Apple, dalla progettazione alla scelta della nuova agenzia di pubblicità.
Strategicamente riuscì a limitare e fermare l’emorragia di talenti, trattenendo i migliori e riuscendo ad attrarne da fuori.
Smantellò e ricostruì il consiglio di amministrazione e la classe dirigente, assicurandosi le migliori figure nei posti chiave dell’azienda.
Nello stesso anno, durante il primo MacWorld, dopo aver ripreso le redini di Apple, si rivolse al pubblico dicendo “In Apple ci sono persone di grande talento, ma si occupavano di cose sbagliate, perchè sbagliati erano gli obiettivi e non vedono l’ora di mettersi al servizio di una nuova e migliore strategia” a sottolineare la consapevolezza che, senza le persone giuste, non sarebbe stato possibile ricostruire Apple.
Inoltre, annunciò ufficialmente l’accordo storico con Microsoft.
Un accordo strategico che curò in prima persona con Bill Gates e che garantì, un investimento diretto di Microsoft in Apple di 150 milioni di dollari e lo sviluppo del pacchetto Office per i futuri sistemi operativi Apple
Sempre nel 1997, con un aggiornamento del sistema operativo, tagliò definitivamente i ponti con i cloni Apple, impedendo il rinnovo degli accordi con le aziende che fabbricavano computer Apple Compatibili. Nonostante le critiche apocalittiche, che vedevano in questa decisione una tragica fine per Apple.
Una decisione soprattutto strategica. Il business delle licenze erodeva pesantemente il mercato dei Macintoch. Jobs era fermamente convinto, che il totale controllo su hardware e software, avrebbe permesso lo sviluppo di un’esperienza utente migliore.
Un’altra azione dirompente (non facile da far digerire al CdA), fu quella di ridurre drasticamente le linee di prodotti a catalogo.
Per portare a termine questa operazione, richiamò in Apple il suo amico Phil Schiller (in qualità di Vp Product Marketing). Insieme organizzarono riunioni interne con i team di ogni singolo prodotto, con l’obiettivo di comprenderne il senso.
Ne emerse che Apple lanciava prodotti simili in versioni diverse senza alcuna strategia.
Spesso loro stessi non erano in grado di comprendere le differenze tra due prodotti con sigle diverse.
Al termine di questa lunga serie di riunioni, Jobs apportò tagli massicci e impose le categorie e i prodotti sui quali i team si sarebbero concentrati.
Due soli target “Pro” e “Consumer”, ognuno con un modello desktop e uno portatile.
Così ebbe inizio lo sviluppo dei Power Macintosh G3, Power Book G3 dedicati al target pro, mentre per il target consumer dell’iMac e l’iBook.
Per la comunicazione coinvolse il direttore creativo Lee Clow (dell’agenzia Chiat Day), che in passato, per il lancio del primo Macintosh concepì la campagna “1984”, il quale presentò quella che divenne una delle campagne pubblicitarie più originali, memorabili e copiate della storia… “Think Different”.
La campagna pubblicitaria aveva il duplice obiettivo di comunicare al target di Apple e ai suoi stessi dipendenti.
Le immagini di personaggi che hanno eccelso nelle rispettive categorie come scienziati, artisti e politici, unite al messaggio “Think Different”, ricordavano ai dipendenti Apple, chi erano le menti alle quali si ispiravano e al target, che i prodotti Apple sono concepiti per chi pensa diverso (usarono un sostantivo al posto dell’avverbio volutamente, per sottolineare con maggior enfasi il concetto).
Il tutto senza mai far vedere il prodotto, ma semplicemente il logo Apple, in un angolo.
La versione video prevedeva anche un testo letto da una voce fuori campo:
(Nella versione inglese, la voce è di Richard Dreyfuss, in quella italiana è di Dario Fò).
Ai pazzi
I disadattati.
I ribelli.
I contestatori.
Quelli sempre al posto sbagliato.
Quelli che vedono le cose in modo diverso.
Non amano le regole. E non ripetano lo status quo.
Puoi citarli, disapprovarli, glorificarli o denigrarli.
Ma ciò che non potrai fare è ignorarli.
Perchè sono quelli che cambiano le cose.
Fanno progredire l’umanità.
E se alcuni vedono la pazzia, noi vediamo il genio.
Perchè le persone così pazze da pensare di cambiare il mondo…
sono quelle che lo cambiano davvero.
Altro tassello fondamentale per Steve Jobs era il design.
Al suo rientro era deciso a ricostruire da zero l’intero reparto design, per via del pessimo lavoro svolto in sua assenza.
Prima di conoscere Jonathan Ive (all’epoca un giovane designer del centro stile Apple), vennero contattati anche nomi illustri per ricoprire il ruolo di capo design, tra cui Giorgetto Giugiaro.
Le affinità elettive tra Jobs e Ive portò al consolidamento di un rapporto diretto, che sfociò in una vera e profonda amicizia.
Da quel momento in poi, il Design avrebbe indicato la direzione alla progettazione ingegneristica e non viceversa, sovvertendo il principio con il quale tutte le altre aziende approcciano al design.
Il design è così radicato in Apple che ogni singolo aspetto di un prodotto, dal cavo dell’alimentatore al packaging è curato nei minimi dettagli.
Con il passare del tempo Jobs assegna a Jonathan Ive sempre più potere operativo ed indipendenza.
Disse di lui “Nessuno ha la facoltà di dire a Jonathan Ive, cosa fare o cosa non fare. Questo è quello che io ho disposto.”
Nel 1998 assunse Tim Cook come responsabile operativo Apple e in breve, divenne uno dei partner indispensabili nella gestione di Apple.
Cook fu in grado di ottimizzare, in poco tempo, non solo la catena produttiva, riducendo drasticamente il numero di fornitori ma anche le giacenze, riducendole a soli due giorni.
Inoltre grazie alle sue ottimizzazioni, Apple fu in grado di ridurre i tempi necessari alla fabbricazione dei prodotti, passando dai precedenti quattro a soli due mesi. Permettendo di realizzare prodotti con tecnologie all’avanguardia.
Uno degli aspetti distintivi della strategia aziendale adottata da Steve Jobs era educare i suoi dirigenti a lavorare insieme e contemporaneamente sui prodotti, non esistevano (e non esistono) compartimenti stagni indipendenti, persino all’interno del bilancio.
Ha sempre esercitato un costante controllo su tutti i dipartimenti, affinché lavorassero come un’unica entità, generando sinergie e garantendo flessibilità.
Questo modo di operare ha permesso, nel tempo, di creare una cultura aziendale unica nel settore, permeando ad ogni livello e definendo il DNA stesso di Apple.
Prima ancora che Steve Jobs consegnò il testimone a Tim Cook, abbiamo avuto modo di capire che la strada intrapresa sotto la guida del suo fondatore non sarebbe cambiata. Ciò che invece stava cambiando era la percezione che avremmo avuto di ognuno degli attori in campo (presenti e futuri).
Fino a quel momento la percezione comune era quella di uno Steve Jobs accentratore, supportato in alcuni casi, dalle sue prime linee nei vari campi di competenza.
Nulla di più sbagliato.
La vera eredità di Jobs, non è la lunga lista di prodotti realizzati durante la sua guida, ma piuttosto una classe dirigente che per anni sotto la sua guida, ha fatto suo un modus operandi ottimizzando i principi dell’operare in team su prodotti e servizi.
Ripercorrendo la storia di Apple, risulta evidente che ogni dirigente scelto da Jobs è tutt’oggi una figura chiave di Apple.
Phil Shiller ha sempre esercitato un forte potere sulla roadmap dei prodotti, così come Eddy Cue, da quando è nato iTunes Store, si è sempre occupato del business dei servizi, godendo della piena fiducia di Jobs.
Lo stesso vale per Jonathan Ive, che ha sempre avuto carta bianca sul design o Tim Cook (l’attuale CEO) a cui lo stesso Steve Jobs ha voluto venisse assegnata la guida di Apple.
L’attuale classe dirigente di Apple, nonostante un organigramma “classico”, ha in realtà, poco a che vedere con quella di un’azienda tradizionale.
L’interazione tra i vari dipartimenti, le procedure interne che portano allo sviluppo di nuovi prodotti o servizi è ben lontana dalle procedure adottate della concorrenza e costituiscono le basi su cui vengono formati i nuovi dirigenti Apple.
Questo definisce il DNA di un’azienda che continuerà ad innovare, ponendo al centro dei suoi prodotti e servizi, sempre l’esperienza e la privacy dei suoi clienti.